Le aporie del liberismo cattolico

L’Italia degli anni dieci di questo secolo assomiglia per certi versi all’America degli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso, in cui gli ebrei americani si ponevano, di fronte a qualsiasi notizia, la rituale domanda: “Is it good for the Jews?” (“è una buona cosa per gli ebrei?”). La versione italiana – una specie di “ma questo va bene per i cattolici?” – è diversa: i cattolici di oggi sono una ex maggioranza, mentre gli ebrei americani di allora erano una minoranza ancora soggetta a discriminazione. Ma soprattutto, allora a porsi quella domanda erano gli ebrei circa il proprio futuro, mentre ora gli italiani (molti più italiani di quelli che si considerano cattolici praticanti) sembrano porsi la questione dell’adattabilità degli assetti futuri e post-berlusconiani del paese alle caratteristiche culturali e sociali del cattolicesimo italiano. Questa referenzialità al cattolicesimo come indice di “quel che va bene” segnala più di un fenomeno.
In primo luogo, il “ma questo va bene per i cattolici?” segna non solo la rilevanza politica del cattolicesimo italiano, ma anche l’inizio di una nuova vita della chiesa italiana come minoranza tra minoranze all’interno della società italiana: in questo caso, di una minoranza che gode ancora (come tutte le chiese storiche in Europa) delle protezioni di una maggioranza che non è più tale. In secondo luogo, questo atteggiamento di reverenza verso la chiesa certifica la consistenza istituzionale dell’attore pubblico di maggior rilievo in Italia.
Non si tratta semplicemente di sudditanza della politica italiana verso la chiesa, ma di una forma di obbedienza degli attori politici verso la “costituzione materiale”, gli assi portanti del sistema Italia. La chiesa ha una gerarchia, un ordine giuridico autonomo e originario, e un sistema di protezioni legali, formali e informali sconosciute ad altre associazioni, organizzazioni, gruppi, religioni: quel sistema ha la sua formula giuridica in una serie di accordi che vanno sotto il nome di “Concordato”. È una di quelle eredità del passato che il berlusconismo non è riuscito a distruggere, e che il cattolicesimo liberista italiano fa finta che sia facilmente assimilabile a un modello politico e costituzionale di tipo americano. Ma nel modello americano non esistono “chiese concordatarie” con accordi privilegiati a livello costituzionale (come quello di cui gode la chiesa cattolica italiana) perché in America anche il paesaggio religioso è regolato da una sola forza: quella del libero mercato. Totalmente basate sul principio del libero contributo versato dai fedeli (che in genere varia dal 2-3% al 10% del reddito), le chiese che sopravvivono sono quelle che meglio si adattano alle esigenze del mercato religioso americano. Semplicemente scompaiono le chiese che non hanno abbastanza “clienti”, i quali hanno trovato nel frattempo un “fornitore” di servizi religiosi più adeguato al loro gusto.
Che piaccia o meno, la chiesa cattolica è uno dei pochi contropoteri nell’Italia di oggi che riesce a sopravvivere, anche grazie al Concordato e a tutto quello che le viene col Concordato. Lungi dall’essere un’eredità priva di contraddizioni, la sopravvivenza del Concordato è soltanto una delle questioni con cui il cattolicesimo liberista-americanista italiano non sembra voler fare i conti. Un’altra questione, ancor più evidente dopo la pubblicazione il 24 ottobre scorso da parte del Pontificio Consiglio “Iustitia et Pax” del documento intitolato “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale”, è la compatibilità tra il neo-liberismo propugnato da alcuni intellettuali cattolici dell’area euro-americana e la dimensione globale del cattolicesimo, che ormai ha il suo baricentro demografico nelle aree povere del mondo.
Per il futuro del cattolicesimo politico in Italia e della cultura politica del cattolicesimo in tutto il mondo, la questione non è stabilire se la chiesa sia di destra o di sinistra, conservatrice o progressista. La questione è invece sapere se un certo cattolicesimo neo-liberista sia conscio di contraddire quegli stessi fondamenti storici e istituzionali che hanno fatto della chiesa cattolica uno degli ultimi poteri-contropoteri sulla scena: in Italia, un riluttante ma invocato contropotere del berlusconismo; sulla scena mondiale, uno degli ultimi avvocati dei poveri della terra di fronte alla cultura economica liberista mainstream. Che il Concordato del 1929 firmato da Benito Mussolini e dal cardinale Gasparri sia diventato una delle condizioni di sopravvivenza di una voce indipendente, in un mondo diventato più piccolo perché misurato dagli ormai proverbiali “mercati”, è solo uno dei tanti paradossi della storia del cristianesimo e della chiesa cattolica, l’ultimo potere di rappresentazione globale del sacro.