La democrazia del termosifone

Cara Left Wing,
un paio di giorni fa sono arrivato a Shanghai, dove passerò i prossimi due mesi per lavoro. A parte il fatto che oggi ho sentito una discussione fra tre colleghi (tutti italiani) concludersi con un “ma chi ha deciso questa cosa? Ma le abbiamo fatte le primarie? No, perché altrimenti butto tutto a monte, che sia chiaro” che mi ha precipitato in un passato prossimo rispetto al quale speravo di aver messo di mezzo un numero sufficiente di chilometri, c’è una cosa che voglio raccontarti.

Avevo letto la storia qualche settimana fa in un libro di Yu Hua, “La Cina in dieci parole” (lo so, il titolo è quello che è, fa un po’ “Come essere felici in una settimana”, ma ti assicuro che il contenuto era migliore). Pare che il Grande Timoniere, in una delle sue alzate d’ingegno che tanto ce lo fanno rimpiangere, un giorno abbia deciso che tutte le città cinesi al di sotto di una certa latitudine erano, proprio per quella ragione, di per sé “calde”: e quindi non c’era bisogno di dotare le abitazioni degli opportuni impianti di riscaldamento.

Quale fu la ragione addotta dal Presidente Mao non riesco a ricordarlo, mi piace pensare che sia stata meno prosaica di un “così risparmiamo sulla bolletta energetica nazionale”; ma poco conta, il fatto è che mi sembrava una storia a suo modo fantastica, come mille altre del periodo della Rivoluzione Culturale: mi figuravo la scena, il funzionario di paese del Pcc che chiama in piazza i compaesani e dice loro con voce stentorea “Compagni, secondo la volontà del Presidente Mao, da oggi nel nostro paese farà sempre caldo!” e quelli alè, a spellarsi le mani, viva la saggezza del Presidente, per fortuna che c’è il Grande Timoniere, qualcuno si sarà anche tolto la giacchetta per mostrare di essere più rivoluzionario dei rivoluzionari, guarda compagno funzionario, son già sudato.

Il fatto, cara Left Wing, è che certe storie son belle finché rimangono tali e riguardano altri. Sabato scorso sono entrato nell’appartamento che ho affittato – sto in una zona piuttosto centrale, all’angolo di Nanjing Lu West che è un po’ la Fifth Avenue della Cina, al decimo piano di un palazzo che mi pare abbastanza moderno – e ho sentito freddo. Ma freddo proprio. Chiudiamo le finestre, mi son detto, ma la situazione non è cambiata molto. Perché non ci sono i termosifoni. Ho chiesto un po’ in giro, ho parlato con un paio di colleghi (non gli stessi delle primarie, se l’informazione ti interessa per valutarne l’affidabilità) e mi hanno detto “eh, tutte le case sono così, anche le nostre, stai tranquillo: usa i bocchettoni del condizionatore e fai girare un po’ di aria calda” – e io mi sono messo tranquillo come mi hanno suggerito anche se Shanghai ha lo stesso clima di Milano, un (bel) po’ più umido ma di certo altrettanto freddo.

Poco fa la Ayi, che è il nome popolare dato alle donne che fanno le pulizie (salendo però fino ai gradi di tata e talvolta persino di governante) è venuta a portarmi la coperta che avevo chiesto con tono straziato ma evidentemente non straziante, visto lo sguardo che mi ha dedicato – una specie di “razza di pappamolla smidollato e freddoloso”. In quel momento, cara Left Wing, ho capito che la democrazia ci ha fatto vincere la guerra per il diritto al termosifone, ma non sono sicuro che questa non sia una vittoria di Pirro. Tu che ne pensi?

Difficile risponderle così su due piedi, in questo momento, caro Pilu. Certo è che da queste parti è stato un inverno molto lungo e molto freddo, il cui rigore stiamo forse ancora scontando.