Lacrime di bufala

Evan Williams (ieri su tutti i giornali) e Zuckerberg (tre mesi fa), rispettivamente padri di Twitter e Facebook, si dicono preoccupati perché gli odiatori compulsivi, i terroristi esplosivi, gli allevatori di bufale e i vari mungitori di click abusano delle loro creature socializzanti al punto da renderle repellenti agli stessi occhi dei genitori. E gli inventori sono i primi a non veder rimedio, al punto che Zuckerberg ha sparato la assunzione di 3.000 (tremila) controllori per individuare e fulminare i contenuti sconvenienti. Iniziativa bufalesca in se stessa, come l’idea di arrestare uno tsunami con poveracci che ne ingurgitino le onde.

Lacrime di bufala a parte, l’irruzione dell’“eccesso” nella comunicazione non è cosa nuova se appena si rammenta l’apparizione della stampa, del romanzo popolare, di giornaloni e giornalacci, del rotocalco, del cinemone e cinemaccio, della tv-progetto e della tv-profitto. Certo, in tutti questi casi c’è da fare i conti col gate keeper, l’editore che controlla l’accesso alla comunicazione in base al proprio ordine mentale ed economico («questo è servizio pubblico e questo no»; «questo serve alla pubblicità e questo no», e via decidendo). Un principio d’ordine talmente forte che quando (in Italia alla fine degli anni Settanta) uno stuolo di utili idioti pensò di fregarlo con le «tv libere», l’economia riportò in quattro e quattr’otto quell’ondata libertaria nell’alveo di un duopolio.

Ma la novità nel caso dei social è che il gate keeper non ha idee ordinatrici perché è il traffico di per sé che attira la pubblicità e i suoi soldi. Agli occhi degli Zuckerberg gli ardori, gli orrori e le pure scemenze sono indistinguibili, purché cliccabili. Così il gate keeping non è editoriale, ma solo tecnico e commerciale. Da qui l’inedita alleanza fra caos e bilancio, due gambe capaci di camminare a lungo. Non solo: anche gli Stati che oggi si mostrano corrucciati dalla selvatichezza del fenomeno, a partire dall’istante – prossimo – in cui riusciranno a estrarne adeguate tasse, ne diventeranno cointeressati a tutti gli effetti. E ciò è talmente razionale e insuperabile che già ridiamo dei codici deontologici e delle proposte di legge chiacchierine volti a mettere le mutande ai social.

Quanto a civilizzarli, non sarà cosa breve perché si tratta non di infilarci pezzi di qualità, visto che ce n’è già un’enormità, di cui ampiamente approfittiamo. Il punto starebbe piuttosto nel dominare le strutture espressive dei social, metabolizzarle e riuscire a stravolgerle rispetto all’attuale ipnosi da miracolo tecnologico (come fu per cinema, radio e tv degli inizi). Vasto programma, avrebbe detto de Gaulle.