Renzi contro tutti

La nostra opinione è che la parabola discendente del  favore per il “Renzi rinnovatore”, quello del 40% alle europee, sia dovuta non ai problemi di carattere, al raggio troppo corto del cerchio dei collaboratori e, tanto meno, al fatto che Maria Elena Boschi abbia il padre incastrato nel fallimento Etruria. La discesa nel favore popolare è iniziata invece, e ci sembra chiarissimo, quando si è passati al Jobs Act e alla Buona Scuola, e cioè alle leggi sul lavoro dipendente e alla organizzazione della pubblica istruzione che incidevano sulla dimensione di massa del problema italiano (fino al 2012 la tripletta era completata dal sistema pensionistico, ma la riforma Fornero, checché se ne pensi per esodati, lavoratori precoci, eccetera, aveva risolto radicalmente i termini contabili della questione). Più neutro dal punto di vista elettorale intervenire sui super ammortamenti, l’industria 4.0 o la riforma della Giustizia, che non sono meno importanti, ma non promettono/minacciano cambiamenti qui  e ora per la vita delle persone.

Facendo quelle cose Renzi ha creato un grande dissenso, ma ha nel contempo consolidato il consenso sul quale può tuttora contare. Per cui tutto può fare tranne che marcia indietro su quei contenuti, perché automaticamente perderebbe il consenso che ha senza riuscire ad appiccicargliene del nuovo. Da qui lo schema narrativo dell’uno contro tutti, dove l’uno, tuttavia, non è la persona, ma sono i contenuti che rappresenta, andato in onda anche ieri sera su La7. La fortuna di Renzi è stata di essere accerchiato da giornalisti non amici, il che ha attratto il 10,76% di tutta la platea televisiva, per un totale di 2.845.315 spettatori medi. Numeri in crescita, dal raddoppio in su, rispetto alla precedente puntata in tutte le fasce di età e in tutto il territorio, ma decisamente eccezionali  fra i maschi dai 55 anni in su, passati dal 7% al 20%, per non dire dei laureati (da 6% a 18%). La nitidezza dello schema strutturale che andava in scena ha evidentemente favorito la  permanenza dei  singoli spettatori, che hanno trascurato il telecomando costruendo cifre d’ascolto che i talk show politici da anni se le sognavano.

Dal che sembrerebbe doversi dedurre che a essere circondato da “nemici” in studio a Renzi conviene, perché quella è la situazione che ne evidenzia la sostanza programmatica “contro chi resiste”, che fissa il suo spazio nel consenso. Se ne ricava che gli conviene evitare come la peste di stemperarsi in Vespa, che a tennis sarebbe un pallettaro, mentre dovrebbe ficcarsi sempre dove gli sparano contro palle tese. Così sarà automaticamente nella posizione narrativa dell’eroe. Ma non si monti la testa perché non sarà, se non in piccola parte, merito di quel che dirà, ma della situazione da Pecos Bill in cui si troverà a dirlo.