Il problema delle fake news non è una bufala

In questi giorni impazza il dibattito sulle fake news, o bufale, per usare un termine Dop. Il dibattito però impazza all’italiana, quindi non su chi ci lavora, quale sia il suo obbiettivo, quali siano i finanziatori, ma se sia il caso o meno di parlare di notizie false messe in giro ad arte per creare un clima di odio e insofferenza, quando i problemi degli italiani sono ben altri. Questa impostazione, a mio parere, nasconde due enormi errori di valutazione: il primo, e ovvio, è che porre un problema non vuol dire rinunciare a tutto il resto; parlare di bufale non vuol dire non proporre soluzioni sul lavoro o non parlare della nostra visione del paese tra vent’anni, ma denunciare un problema. Il secondo è una visione molto parziale della questione: visto che le nostre bacheche facebook e i nostri amici sono tutte persone molto ragionevoli, che non crederebbero mai che il governo abbia davvero proposto una legge per dare 200 miliardi di tfr ai parlamentari, né che il Pd voglia abolire il Natale perché offenderebbe i migranti di religione islamica, pensiamo che la maggior parte delle persone abbia la stessa sensibilità e gli stessi strumenti dei nostri ragionevoli amici. E che pertanto sappia sicuramente distinguere una notizia vera da una presa da contrinformazione.info, e non si faccia minimamente influenzare nelle scelte di tutti i giorni da queste “notizie”.

Ebbene, purtroppo, non è così, e chiunque abbia orecchie nei bar, nei luoghi di lavoro e nei mercati può verificare ogni giorno come queste bufale si mischino a notizie vere, si accumulino a problemi concreti quotidiani e a dieci anni di crisi economica, sociale e istituzionale, creando una miscela esplosiva che rende anche le persone più ragionevoli improvvisamente irragionevoli. Quindi, Pini, stai dicendo che l’avanzata della marea nera, del razzismo e del neofascismo è colpa delle fake news? Ovviamente no, ma sto dicendo che l’utilizzo scientifico e propagandistico delle notizie false accelera e aggrava parecchio questo problema.

Intendiamoci, lo so anch’io che non abbiamo inventato nulla, che le notizie false ci sono da quando è nato l’uomo e il loro utilizzo per influenzare le scelte politiche è altrettanto antico. Con l’informazione diffusa e la politica di massa anche la produzione e diffusione di notizie false su scala globale si affacciarono nel dibattito politico di fine ottocento e inizio novecento. Uno dei più famosi casi di notizie false che accentuarono crisi politiche e alimentarono sentimenti di odio nella società si verificò nella Francia della terza repubblica, già in crisi dopo la perdita della guerra franco-prussiana e nel pieno dei fermenti che portarono alla prima guerra mondiale: il caso Dreyfus. Un capitano dell’esercito francese accusato e condannato per aver passato informazioni di intelligence ai tedeschi. Il processo e la polemica durarono anni, uno dei temi fondamentali del dibattito stava nel fatto che Dreyfus fosse di origine ebraiche. Gli accusatori usarono massicciamente le sue origini per seminare e ravvivare nel paese un sentimento diffuso di sospetto e di rabbia nei confronti della comunità ebraica, ma anche dell’establishment colpevole di lassismo e forse collusione che avrebbe portato la Francia prima alla perdita di territori e poi della sua stessa identità nazionale. Alla fine Dreyfus fu assolto, ma i segni che tutta la vicenda lasciò nell’opinione pubblica e nel dibattito politico francese furono molto più stabili e duraturi della revisione del processo. Il seme del sospetto era stato piantato e di lì a poco sarebbe germogliato.

Un altro esempio, molto più simile, per certi versi, ai siti di notizie false e tendenzialmente complottiste che invadono il dibattito politico occidentale contemporaneo è la vicenda dei Protocolli dei Savi di Sion, documento che denunciava un complotto massonico ed ebraico per prendere il potere e controllare il mondo intero. Il documento nacque nella Russia dei primi anni del XX secolo e nonostante da subito ne fosse stata provata la totale falsità ebbe un enorme successo, fu diffuso e preso come spunto di dibattito politico per tutta la prima metà del novecento. Attraverso il complotto si spiegava la nascita del partito comunista, la rivoluzione bolscevica, la crisi economica e finanziaria della Germania di Weimar, la crisi sociale europea, la crisi delle istituzioni religiose e politiche. A poco servirono le inchieste del Times o le prese di posizione pubbliche dei politici dell’epoca, che spiegavano come il protocollo fosse chiaramente un falso: il falso era diventato plausibile e quindi era entrato nella vita di tutti i giorni, era diventato reale.

Nessuno, naturalmente, oserebbe sostenere che la crisi tra Francia e Germania che portò al primo conflitto mondiale, o anche l’ascesa del nazismo, ebbero origine da queste “fake news”. Le grandi crisi del novecento ebbero origine dalla fine del sistema imperialista ottocentesco, da gravi crisi finanziarie ed economiche, dall’incapacità delle vecchie istituzioni di dare risposte e soluzioni, dall’ottusità dei gruppi dirigenti, dal sentimento diffuso nella popolazione di paura, stanchezza e rabbia. Tutto questo alimentò però la ricerca di capri espiatori che assolvessero al ruolo di simbolo del degrado di quel sistema in crisi, obiettivi semplici e riconoscibili, e molto spesso per individuarli e indirizzare contro di loro la collera popolare furono usate false notizie e alimentate voci infondate.

Quello che c’è di nuovo nelle fake news propriamente dette è il salto di scala, dato dalla velocità, dalla facilità e dalla potenza con cui i nuovi mezzi di comunicazione permettono di produrle e diffonderle, e questo comporta anche un salto di qualità non da poco. Ma il punto è soprattutto quello che c’è di vecchio: dire che le fake news non rappresentano nulla di nuovo dai tempi dei Protocolli dei savi di Sion, infatti, sapendo come andarono le cose allora, non mi sembra un buon argomento per chi sostiene che non valga nemmeno la pena di occuparsene.