La certezza della galera

In un’intervista al Corriere della Sera, spiegando perché bloccherà la riforma dell’ordinamento penitenziario, Alfonso Bonafede ha detto due cose che mi hanno colpito. Dice il ministro della Giustizia che, premesso che per lui il principio del reinserimento del condannato è la stella polare, la riforma mina alla base il principio della certezza della pena, perché permette ad alcuni di non scontare nemmeno un giorno di carcere.

Il ministro evidentemente non sa che, mentre la rieducazione del condannato è prevista dall’articolo 27 della Costituzione, la certezza della pena come la intende lui non è un principio giuridico, e nemmeno etico. La pena, infatti, è sempre certa nel nostro ordinamento, e viene sempre scontata, nelle forme disciplinate dalla legge. Quella a cui si riferisce il ministro, e molti con lui, non è la certezza della pena ma la certezza del carcere, che non è un principio costituzionale. Si pensi solo che nella Costituzione italiana la parola «carcere» non è nominata nemmeno una volta (i costituenti in carcere c’erano stati davvero, avevano subito violenze e torture, e questa scelta fu deliberata). Il nostro ordinamento considera il carcere uno dei luoghi in cui scontare una pena, perché esiste un principio di proporzionalità tra reati e pene, e perché le misure alternative assicurano alla collettività una sicurezza maggiore, rieducando meglio il detenuto che dovrà tornare a vivere in mezzo a noi.

La seconda cosa che il ministro ha detto, e che illumina la sua concezione dell’ordinamento penale, è che a lui non interessa diminuire il numero dei detenuti, ma garantire il rispetto della loro dignità anche in carcere. Insomma, il ministro della Giustizia – avvocato, e cultore della materia in diritto privato, quindi forse più vicino ai contratti che a Cesare Beccaria – è convinto che l’unica pena certa sia il carcere, mentre tutto quello che non è carcere non è pena. Qualcuno gli regali Beccaria, o gli ricordi quello che scriveva proprio sulla certezza della pena: «La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunità; perché i mali, anche minimi, quando sono certi, spaventano sempre gli animi umani».

La riforma che il ministro intende bloccare rende le pene più certe e la società più sicura, e applica la moderazione là dove lui vede solo sbarre, prigione, carcere, manette, fingendo di non sapere che quella è la via che conduce all’esplosione della recidiva e a una società meno sicura. Lo diceva Beccaria, ma lo dicono anche le statistiche.