la politica della paranoia

La politica della paranoia

L’Italia è un paese in cui i reati continuano a diminuire, ma le persone si sentono sempre meno sicure, in cui gli immigrati calano, ma si parla continuamente di invasione, in cui il 25% della popolazione è in pensione, ma sembra non ci vada nessuno, e in cui i centri storici sono sempre più disabitati, ma sembra che il loro problema sia che ci sono troppi locali. Siamo un paese stanco, impaurito e arrabbiato e lo dimostra anzitutto il nostro dibattito politico: da destra a sinistra, dal centro alle periferie. Lo vediamo, per esempio, nelle amministrazioni comunali, che da nord a sud sembrano partecipare a una particolarissima gara a chi fa l’ordinanza anti-movida più stringente. Ultime in ordine di tempo: Novara, Pisa e Roma.

A Novara sono stati proibiti: la vendita di alcol in vetro, le bici legate ai pali e gli abiti succinti (non meglio identificati). A Pisa il sindaco ha proibito: la vendita di alcol dalle 21 alle 24 e la possibilità di sedersi, sdraiarsi o dormire sul suolo pubblico. A Roma, dopo la terribile vicenda di Desirée , la sindaca Raggi ha proibito la vendita di alcol dalle 21 alle 7 di mattina. Ordinanze come queste le puoi trovare, con le poche differenze, da nord a sud, e anche nell’applicazione della circolare Gabrielli da parte di alcuni prefetti.

L’idea che l’abuso di alcol, la microcriminalità o i ragazzi che fanno rumore fino a tardi si possano eliminare con un’ordinanza è tanto romantica quanto assurda. D’altronde siamo in un momento storico in cui si festeggia dal balcone l’eliminazione della povertà per decreto, per cui non ci stupiamo. Il problema di queste ordinanze è la visione di città e di società che tradiscono. E cioè che locali, vita notturna, gente che beve una birra seduta sui gradini di un portone siano sintomo di degrado e non uno dei modi per rivitalizzare e riqualificare un centro storico, oltre che per allontanare la microcriminalità. È ovvio che lasciare completa autonomia ai locali, senza regole né orari, rischia di creare problemi alla civile convivenza, ma è altrettanto ovvio che portarli alla chiusura renderà quella strada, quella zona, quel quartiere, soltanto più bui e pericolosi.

La risposta al degrado dei quartieri è un patto tra gestori di locali e abitanti di quei quartieri, lasciare che ci siano locali autorizzati a vendere birra fino a tardi e responsabilizzarli sulla pulizia e il rumore dei loro avventori, cercare di capire che se i centri storici dopo una certa ora sono bui è perché gli affitti sono completamente fuori controllo, le abitazioni sono vuote e spesso per una giovane famiglia non è nemmeno più possibile affittarle perché interi palazzi sono ormai adibiti a bed and breakfast e airbnb più o meno legali. Esattamente come per l’applicazione della circolare Gabrielli. Se vogliamo rendere più sicura una piazza, dobbiamo fare in modo che quella piazza sia viva, ci si possa organizzare un concerto, una manifestazione, una fiera. Chiuderla, rendere economicamente e tecnicamente insostenibile per chiunque non sia Vasco Rossi organizzare un concerto, non la rende più sicura. La rende vuota.

Insomma dobbiamo imparare di nuovo a guardare al futuro delle nostre città senza farci accecare dalla paura, ma con la capacità di mettere le cose in prospettiva. Aiutando i ragazzi che vogliono investire in un locale e non umiliandoli, aiutando la giovane famiglia che vorrebbe abitare più vicino al centro con affitti agevolati, aiutando chi affitta legalmente e non chi lo fa in nero. Insomma, se vogliamo risolvere i problemi, dobbiamo affrontarli in modo serio e non propagandistico. Non è quello che sta avvenendo con le ordinanza di questi giorni. Proviamo a cambiarle.