teatro senza pubblico

Per rilanciare la cultura serve il pubblico

La crisi causata dalla pandemia di Covid-19 sta mettendo in ginocchio la produzione artistica italiana, le istituzioni, le aziende che si occupano di spettacolo, cultura e creatività. Tanti lavoratori dello spettacolo e della cultura non stanno lavorando già da un po’ e non si capisce quando potranno ricominciare: stagioni cancellate, festival chiusi, produzioni rinviate, gallerie serrate e mostre annullate. Tutto questo significa mancanza di lavoro per mesi e mesi. La conseguenza è la morte di numerose iniziative e manifestazioni, che in diversi casi costringeranno tanti a cercare altri modi di sopravvivere. La produzione culturale in ogni ambito si è sviluppata quando è stata in grado di remunerare gli operatori, fossero attori, musicisti, cantanti, tecnici o pittori. Roosevelt lo sapeva e l’America del New Deal diede vita a un piano per salvaguardare i talenti, per farli lavorare e sopravvivere, che forse non fu senza influenza nello sviluppo dell’egemonia della produzione culturale americana sul resto del mondo affermatasi dopo la seconda guerra mondiale. Quindi ha ragione chi dice, come ha fatto qualche giorno fa Pierluigi Battista sul Corriere della sera, che serve un piano straordinario, e serve ora.

Mi convince meno la proposta pratica della creazione di un prestito nazionale per la cultura o di Cultura Bond su cui possano investire i cittadini italiani. Abbiamo certamente bisogno di risorse private, è bene che i cittadini sostengano la cultura, e il primo modo per farlo sarà – quando e come la prioritaria esigenza della lotta contro l’epidemia lo consentirà – andare a teatro, a vedere una mostra, ad ascoltare un concerto o a visitare un sito archeologico. Per questo serve un sostegno particolare dallo Stato. Nelle strategie di rilancio economico che il governo dovrà metter in atto ci devono essere risorse che aiutino eventi, piccoli o grandi, a riavviarsi con rapidità. In sostanza, con un po’ più di soldi pubblici possiamo attivare la risorsa privata più semplice, la partecipazione.

Un altro modo in cui il privato può dare un grande contributo è valorizzare il più possibile uno degli strumenti migliori creati per sostenere la cultura, l’art bonus, che consente a imprese e singoli cittadini di detrarre parte di quanto versato a sostegno di molteplici iniziative culturali dalle proprie tasse. Si possono ottenere grandi e immediati risultati allargando la platea dei possibili beneficiari, aprendo ad esempio anche a piccole iniziative, a soggetti privati, ad eventi nei piccoli centri, ad iniziative estemporanee e contemporaneamente portando il beneficio fiscale dal 60 all’80%, eccezionalmente per questo anno “speciale” in cui dobbiamo ripartire.

Da ultimo resta il problema da cui tutto dipende, specie nel campo dell’organizzazione dello spettacolo e della vita delle organizzazioni e aziende della creatività, la grande fame di liquidità. Un grande prestito nazionale servirebbe eccome, ai piccoli come ai grandi. Serve alla società dei concerti del paese di provincia, ai grandi enti pubblici, serve ai pittori e alle gallerie, serve anche ai promoter che non sanno quando potranno riprendere a organizzare concerti, i cui costi e rischi di impresa dovranno affrontare avendo bruciato risorse in lunghi mesi di inattività. A questo però possono pensare direttamente le banche, aprendo un canale di finanziamento a tasso agevolatissimo e a media scadenza, a cui si possa accedere con facilità e destinato a tutti i soggetti protagonisti della vita culturale italiana, pubblici, privati, con scopo di lucro e senza, piccoli e grandi. Per farlo basterebbe l’accordo tra l’Abi e il ministero della Cultura.