Rentrée

Anticipiamo la presentazione che aprirà il nuovo numero di Left Wing: Teatro.

In questi anni la diffusione di internet ha esteso la scena pubblica al mondo intero, allargando in misura corrispondente il numero degli attori: nella società della comunicazione in tempo reale, grazie ai social network, le assi del palcoscenico arrivano ormai fino al salotto di casa nostra, realizzando così la profezia di Andy Warhol. Ma non è affatto detto che i nostri cinque minuti di celebrità, quando ci toccheranno, siano piacevoli. Può bastare una battuta di cattivo gusto a distruggere la vita di una persona. Il caso emblematico è quello dell’americana Justine Sacco, che per uno stupido tweet alle poche decine di follower che aveva nel suo profilo ha perso il posto ed è finita al centro di un linciaggio globale, ed è solo un caso tra i tanti. Ma non abbiamo dedicato questo numero al teatro per denunciare l’imminente apocalisse tecnologica.

Al contrario, se abbiamo scelto il teatro come ultimo edificio della nostra città ideale, sia pure di cartapesta (vedi inserto al centro della rivista), la ragione è che, nonostante tutto, nel mondo di oggi ci pare ancora ben possibile rintracciare il filo di una continuità storica dotata di significato. E forse, se un appunto dobbiamo fare ai nostri intellettuali, è proprio quello di avere rinunciato troppo presto alla fatica quotidiana di una simile ricerca, preferendo la posa facile del fustigatore dei tempi. Una posa che già più di trent’anni fa Ettore Scola – in quella fenomenale satira di tanti tic dell’intellettualità di sinistra che fu “La terrazza” – avrebbe chiamato del “dolente erudito”. Del resto, come diceva un altro non meno autorevole ironista, “non si può fare il broncio ai propri tempi senza riportarne danno”.

Ecco, noi pensiamo che nel grande teatro della politica e della comunicazione contemporanea, a sinistra, sia venuto il momento di togliere il broncio. Forse allora scopriremo che nelle tante cose che non capiamo e non apprezziamo di questo pazzo mondo c’è anche molto di buono, e moltis­simo di progressivo e democratico, per usare parole desuete.

D’altra parte, come ci ricorda in questo numero un grande intellettuale e storico della cultura come Donald Sassoon, dal fonografo in poi, lo sviluppo tecnologico ha allargato il mercato della musica e “il risultato è che si consuma molto più Mozart oggi che ai tempi di Mozart”. Parole san­te, che tuttavia non è facile ascoltare da intellettuali italiani, divisi come sono, perlopiù, tra quelli che ritengono una forma di incomprensibile arretratezza che qualcuno possa ancora ascoltare Mozart al tempo di Jovanotti e quelli che vorrebbero chiudere le discoteche dopo aver scoperto, nel 2015, che lì dentro girano anche superalcolici, e persino della droga.

Ci sembra dunque ragionevole pensare che il primo compito di una rivista come la nostra sia quello di abbandonare i vecchi stereotipi di una certa sinistra della cultura, per provare davvero a promuovere una nuova cultura di sinistra. Anche per non ritrovarci un giorno a dover scegliere tra il pessimismo – spesso più comico che cosmico – del dolente erudito e l’eterno entusiasmo di tanti lieti ignoranti che popolano il palcoscenico della nuova politica, di destra e di sinistra.

Sentiamo però già arrivare l’obiezione: ambizioso obiettivo! Obiezione, peraltro, quanto mai per­tinente, considerato pure il ritardo con cui questo numero vede la luce. E come volete che non ci preoccupi il giudizio di quell’antico legislatore che chiamano il pubblico – potremmo rispondere, parafrasando i classici – quando vedrà che, dopo tanto tempo che ce ne dormiamo nel silenzio dell’oblio, saltiamo fuori adesso, con una rivista “secca come uno spago, scarsa di invenzione, povera di fantasia, mancante di ogni erudizione e dottrina”? Ci conforta tuttavia la consapevolez­za che il primo a porsi queste angosciose domande, quando si decise ad accantonarle e a dare ugualmente alle stampe la sua opera, il Don Chisciotte, inventò così il romanzo moderno. Un obiettivo, ce ne rendiamo conto, decisamente al di là della nostra portata. E tuttavia, bisognerà pure avere dei modelli.

Anche perché la nostra impressione è che il mondo della cultura italiana di oggi somigli parecchio alla Spagna della controriforma. Di sicuro non gli mancano i suoi indolenti aristocratici dai mille ti­toli e dagli infiniti cognomi: prigionieri dei loro stessi pregiudizi, esperti solo in cerimoniali di corte, nel disprezzare il popolo e nel collezionare prebende, mentre proclamano ad alta voce l’irrimedia­bile guastarsi dei tempi, dei giovani e della politica. E senza essere stati nemmeno in discoteca.