In Turchia si parla molto in questi giorni di una piccola notizia, insignificante per il resto del mondo: l’entrata in attività del primo pozzo petrolifero del Kurdistan iracheno. Una notizia che ha fatto divampare un incendio politico in Iraq e in Turchia. Per quanto riguarda l’Iraq, l’apertura del pozzo di Zakho, a venti chilometri dal confine con la Turchia, ha fatto zampillare con ancor maggiore virulenza la contesa per i proventi del petrolio…
Dopo l’atroce strage di Qana, dove sono morti 54 civili tra cui decine di bambini, è più difficile, almeno emotivamente, discutere della conferenza di Roma e argomentare del suo sostanziale successo. Anche perché il corso degli avvenimenti sul terreno potrebbe prendere la strada che già prese nel 1996 dopo un’analoga e terribile strage durante l’operazione Grapes of Wrath condotta dall’esercito israeliano contro Hizballah, e finita con il crollo proprio a Qana di un palazzo sede degli osservatori Onu…
Nel rischioso e ancora instabile dopoguerra libanese, la comunità internazionale adesso ha la possibilità di lavorare per cominciare a sciogliere molti dei nodi che soffocano il Medio Oriente, e che si sono venuti aggrovigliando con l’intervento angloamericano in Iraq. Per deficit di potenza, se non per scelta analitica e intellettuale, è infatti di nuovo in voga l’azione politica multilaterale, il concerto delle nazioni fuori e dentro gli organismi internazionali…
In occidente ha prodotto grande sconcerto il risultato uscito dal turno di ballottaggio delle elezioni presidenziali iraniane, che ha visto la vittoria imprevista di un oscuro candidato conservatore sul “centrista” Rafsanjani. E dopo alcuni momenti di attonito silenzio, è cominciata la gran cassa dei commenti tesi a gettare ombre sui risultati…
Tre anni fa, nella notte tra il 19 e il 20 marzo, la coalizione guidata dagli Stati Uniti invadeva l’Iraq di Saddam Hussein, spaccando a metà tra favorevoli e contrari l’amplissima coalizione internazionale che subito dopo l’11 settembre 2001 aveva guidato l’intervento in Afghanistan e suscitando in tutto il mondo – meno che negli Usa – proteste popolari di una tale ampiezza da far scrivere al New York Times che era scesa in campo l’altra vera superpotenza superstite: quella dell’opinione pubblica mondiale. L’intervento in Iraq è stato insomma talmente controverso e talmente significativo da porsi accanto, e forse sopravanzare, l’11 settembre 2001 come evento periodizzante dell’inizio di un mondo globale postmoderno e postwestfaliano…
Se il Medio Oriente è in subbuglio, e lo è davvero, questo accade perché sta ridefinendo la propria identità. Del resto, non poteva essere altrimenti, sotto la spinta di una guerra come quella irachena, l’ascesa degli sciiti e la conseguente forza anche elettorale acquisita dall’Islam politico radicale. E nel Medio Oriente definire le identità significa insieme definire i confini. Non solo quelli tra gli stati e tra le etnie…
A cinque anni da quell’incredibile ed epocale 11 settembre 2001, tutti noi abbiamo visto la nostra stessa vita cambiare e gli spazi pubblici restringersi o addirittura chiudersi. Ciò ha significato un indebolirsi della politica. Il luogo in cui il processo è stato più evidente è quel Medio Oriente da dove tutto partì molti anni prima, con il primo jihad verso l’Afghanistan. Lo è non per una sorta di retribuzione divina, bensì perché vi è stato più concretamente l’errore dell’intervento Usa in Iraq che ha accresciuto le già grandi difficoltà della politica nella regione. Si è trattato infatti di un evento che ha profondamente cambiato il Medio Oriente. Ma non come si aspettava l’Amministrazione Usa…
Giovedì 10 novembre un terremoto politico ha colpito Tel Aviv. Contrariamente alle aspettative di tutti le primarie del partito laburista israeliano hanno designato non l’ottantaduenne presidente protempore (e vicepremier nel governo di coalizione con il Likud) Shimon Peres, bensì Amir Peretz. Dei 65mila membri del partito che hanno preso parte alle primarie, infatti, il 42,4 per cento ha votato per Peretz, il 39,9 per Peres e il 16,8 per Beniamin Ben-Eliezer. La sorpresa è stata generale…
Il 4 marzo Bush è arrivato in Pakistan per la prima visita di un presidente Usa da quella di Clinton nel marzo del 2000. Ma al contrario di Clinton non è stato solo cinque ore per sfuggire all’incontro con il presidente golpista Musharraf, bensì un giorno intero, e proprio per avere la possibilità di mostrare il legame tra i due paesi e tra i due presidenti. Malgrado la visita sia stata preceduta da un’autobomba che due giorni prima a Karachi ha ucciso un diplomatico Usa, e accompagnata da forti manifestazioni di protesta per il suo arrivo. Nessun commentatore ha dedicato molto spazio a questa accoglienza: è sembrata normale…
L’ottima affermazione di Hamas alle elezioni amministrative palestinesi di giovedì scorso – nelle città della Cisgiordania di Jenin, Nablus, El-Bireh – ha suscitato una grande eco e preoccupazione sulla stampa europea e statunitense, e una domanda: Hamas (acronimo per Harakat Al-Muqauuama Al-Islamiya, cioè “Movimento di Resistenza Islamica”) è destinato a conseguire una storica vittoria nelle prossime e cruciali elezioni politiche palestinesi del 25 gennaio 2006?